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Ospedale psichiatrico di Mombello e manicomio di Voghera: un destino comune

  • Immagine del redattore: Letizia Destefanis
    Letizia Destefanis
  • 19 giu 2024
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 26 set 2024

L’ospedale psichiatrico o manicomio, è stata per almeno due secoli, una struttura in cui venivano ricoverati i pazienti psichiatrici più o meno gravi e lì venivano curati, o almeno questo è quello che la storia dell’istituzione manicomiale vuole farci credere. 

In realtà, una realtà molto diversa, i manicomi erano strutture in cui venivano rinchiusi, sia in maniera volontaria che non, chiunque non rispettasse le regole ferree del vivere ottocentesco. L’800 infatti è il secolo in cui questi ospedali iniziarono ad avere un ordinamento nazionale e medico, sebbene i metodi utilizzati fossero tutt'altro che medicalmente comprovati. 

Foto che ritrae pazienti in manicomio con la camicia di forza

Immagine presa da Quora. Foto che ritrae pazienti in manicomio con la camicia di forza al Psychiatric Center Pilgram, Long Island, NY, USA

Le prime forme di contenimento furono delle gabbie, simili a celle in legno, con del pagliericcio a terra che rinchiudevano i cosiddetti “scemi del paese”, che tutti i passanti potevano deridere. Questa forma di tortura debilitava il corpo per via delle condizioni igieniche e di nutrizione, ma anche la mente con l’isolamento e la derisione continua, perpetrata per un minimo di mesi, fino ad arrivare a degli anni, come si legge in certi documenti. Negli anni successivi, i metodi di contenimento, per le anime agitate erano le legature alla sedia, in cui si impediva qualsiasi movimento, talvolta anche la circolazione del sangue negli arti, la camicia di forza oppure il contenimento a letto, usato nello specifico nei bambini particolarmente vivaci e questo poteva durare ore. 

Da sempre si usava anche la privazione dei bisogni primari dell’uomo, come il cibo, con dei lunghissimi digiuni, il sonno, il bere. Le botte erano la norma anche nei primi anni del 1900, dalle cronache è venuto fuori di come, un manicomio statunitense, usasse sacchi pieni di patate per massacrare i pazienti troppo agitati, lasciandoli moribondi. 

Pazienti sottoposti al bagno bollente in un manicomio

Immagine presa da Blog.Libero. Pazienti sottoposti al bagno bollente in un manicomio 1936

L’acqua all’interno degli ospedali psichiatrici ebbe un ruolo molto importante: una delle “cure” consisteva nelle doccia fredde, talvolta alternate a quelle calde, così come le vasche calde, in cui l’acqua raggiungeva i 40° e lasciava delle bruciature dolorose, alternate in immersioni in acqua e ghiaccio, che, se dapprima davano sollievo, provocavano, nel migliore dei casi una bronchite. L’immersione prolungata in acqua fredda era usata principalmente per bloccare le crisi nel paziente che doveva affrontare il congelamento, mentre le vasche alternate che creavano molto dolore, erano principalmente impiegate per “curare” l’omosessualità, in quell’epoca considerata una malattia mentale. 

Strumenti utilizzati per la lobotomia

Immagine presa da Fotografismo. Strumenti utilizzati per la lobotomia

Nella prima metà del 1900 vennero poi inseriti alcuni macchinari nelle cure delle patologie mentali come ad esempio l’elettroshock, un metodo in cui tramite la corrente elettrica si creano delle convulsioni nel paziente che dovevano calmarlo. Gli elettrodi di solito venivano posti sulle tempie, ma nei casi in cui i malcapitati erano ragazzi giovani, venivano posti sui genitali, per fermare la masturbazione, anch'essa considerata una malattia mentale. L’uso frequente di questo metodo sullo stesso paziente, poteva provocare danni permanenti quindi, per ovviare, si utilizzava la lobotomia, una tecnica in cui si recidevano i lobi della corteccia frontale, il che, rendeva il poveretto incosciente di sé stesso, lasciandolo vegetale. Altre due assurdità erano “l’insulina terapia”, ossia somministrare ad una persona senza problematiche dell’insulina, questa provocava delle crisi epilettiche che portavano allo svenimento, dal quale, il paziente, veniva svegliato tramite un sondino gastrico nel quale il personale inseriva acqua e zucchero e la “malaria terapia”, ossia iniettare il virus della malattia al paziente e aspettare che gli attacchi febbrili derivati dalla stessa calmassero la persona. Insomma, questi sono un insieme di follie, nel quale la psichiatria ha sperimentato sulle persone attraverso i manicomi.

Macchina per l'elettroshock della Siemens, 1960

Immagine presa da Wikipedia. Macchina per l'elettroshock della Siemens, 1960

Di queste strutture ho già parlato nella storia del Bethlem (se vuoi saperne di più ti consiglio questo articolo https://www.lastanzaverde6.com/post/la-storia-del-bethlem-il-manicomio-più-conosciuto-del-mondo ), ma in Italia, quali sono le strutture più conosciute?

Manicomio di Mombello in una foto del 1925

Immagine presa da Aspi. Manicomio di Mombello in una foto del 1925

Sicuramente il manicomio di Mombello, nel comune di Limbiate è quello più ricco di storia. La struttura risale a diversi secoli prima del 1800, addirittura la sontuosa villa Pusterla aveva ospitato i matrimoni delle due sorelle di Napoleone nel 1797, successivamente a causa del sovraffollamento della Senavra, la prima istituzione manicomiale di Milano, venne acquistata dal comune e divenne l’ospedale psichiatrico Antonini o manicomio di Mombello nel 1878. La struttura era arrivata ad avere 1000 pazienti e 3000 sanitari che lavoravano al suo interno nei diversi padiglioni: il padiglione Giuseppe Antonini, era destinato agli adulti con patologie più o meno gravi, mentre quello chiamato Giuseppe Corberi, destinato ai minori affetti da patologie mentali gravi.

Durante la grande guerra una parte fu adoperata come ospedale per i soldati feriti in battaglia, tra i pazienti più famosi ci sono Benito Albino, il figlio illegittimo di Benito Mussolini, il pittore Gino Sandri e il fotografo Luca Comerio. 

Un particolare del manicomio di Mombello

Immagine presa da Fotografismo. Un particolare del manicomio di Mombello

Diverse sono le leggende che si raccontano su Mombello, ad esempio che nel periodo più florido,  i medici facevano esperimenti sui malati e che questi, una volta morti, venivano gettati nel pozzo che serviva di acqua tutta la struttura, o ancora che nei sotterranei, ci sia una galleria, voluta da Napoleone per scappare senza essere visto. 

Cento anni dopo dalla sua apertura, nel 1978 con la legge 180 voluta da Franco Basaglia, uno psichiatra e promotore della riforma psichiatrica in Italia, approvata dal governo Andreotti, i manicomi furono chiusi. La maggior parte rimase abbandonata, altri come Mombello vennero utilizzati come struttura psichiatrica regolamentata dalla riforma per qualche anno, in questo caso fino al 1999, quando fu abbandonato definitivamente.

Dormitorio del padiglione Antonini nel manicomio di Mombello

Immagine presa da Aspi. Dormitorio del padiglione Antonini nel manicomio di Mombello

Lo stesso comune destino toccò anche al meno conosciuto manicomio di Voghera, in provincia di Pavia, il quale porta con sé una storia analoga a quello di Mombello. 

L’ospedale fu voluto e costruito nel 1876 da Cesare Lombroso (se vuoi leggere qualcosa in più su di lui ti consiglio questo https://www.lastanzaverde6.com/post/cesare-lombroso-il-padre-della-criminologia-moderna ), che studiò medicina all’università di Pavia diventando un luminare nel suo tempo. Successivamente lo diede in gestione a Augusto Tamburini, ed infine nel 1900 passò alla direzione di Giuseppe Antonini, lo stesso medico e allievo di Lombroso che diede il nome al manicomio di Mombello. La struttura si compone di 63000 metri quadrati e poteva contenere fino a 1100 pazienti e 400 operatori sanitari. 

 Interno del manicomio di Voghera

Immagine presa da Samuele Silva. Interno del manicomio di Voghera

Al suo interno coesistevano malati mentali, ma anche persone senza fissa dimora, ubriachi, bambini abbandonati da famiglie povere oppure perché nati con qualche difetto fisico che disonorava la famiglia benestante. I malati più problematici venivano rinchiusi nella rotonda dei furiosi: un lungo corridoio circolare dal quale si accedeva nelle piccole celle di forma rotonda, con il letto fissato a terra nel centro della stanza, tutto era predisposto a eliminare i rischi di ferite e lesioni. 

Anche per il manicomio di Voghera, nel 1978 cambiarono le cose, diventando una struttura del sistema nazionale per la cura delle malattie mentali, fino al 1998, quando il novanta per cento della struttura venne abbandonata, mentre il restante è ancora oggi l’USL locale. 

Tra i personaggi più particolari che erano rinchiusi a Voghera, c’è Luigi Marino, soprannominato Ringo Ballerino, che sebbene soffrisse di malattie mentali, ogni sabato sera evadeva, per andare a ballare e ritornava il giorno seguente, ma gli addetti non hanno mai capito da dove potesse uscire.

Il corridoio circolare chiamato rotonda dei furiosi al manicomio di Voghera

Immagine presa da Essere Altrove. Il corridoio circolare chiamato rotonda dei furiosi al manicomio di Voghera

Sebbene ci siano tantissime strutture in Italia di questo genere e abbiano tantissime storie di dolore nelle loro sale interne, una cosa che accomuna l'ospedale psichiatrico di Mombello e il manicomio di Voghera, è la legge 180, quella che permise di ridare la dignità al malato mentale, al povero senza dimora, una vita libera al bambino abbandonato.


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